Stress da notizie di guerra: perché è così difficile smettere di seguirle, anche quando ci fanno stare male?
Conflitti come quello tra Iran e Israele hanno invaso i feed, i notiziari e le conversazioni quotidiane, spingendo milioni di persone a consumare incessantemente aggiornamenti su eventi drammatici. Sebbene restare informati sia importante, molti finiscono per sentirsi sopraffatti. Ma perché ci incolliamo alle breaking news anche quando ci fanno star male? La risposta sta nei meccanismi con cui il nostro cervello reagisce alla minaccia e all’incertezza.
Perché il nostro cervello cerca notizie negative
Il nostro sistema nervoso è progettato per riconoscere il pericolo. È il cosiddetto “negativity bias”: siamo biologicamente predisposti a prestare attenzione alle informazioni minacciose più che a quelle positive, perché ci servono per affrontare potenziali rischi. Questo istinto, utile in passato per la sopravvivenza, oggi ci spinge a cliccare compulsivamente su ogni notizia allarmante, con l’illusione di poter controllare la situazione.
L’effetto stress che nasce da un’informazione senza limiti
L’esposizione continua a contenuti traumatici attiva l’amigdala, l’area del cervello legata alla paura. Anche se siamo fisicamente al sicuro, il nostro corpo reagisce come se fosse in pericolo: aumenta il cortisolo, accelerano battito e respirazione, ci sentiamo tesi e allerta. È una risposta di difesa esplosa in un contesto – quello della fruizione h24 delle notizie – che rende tutto questo controproducente.
Contrariamente a quanto si crede, il circuito della dopamina, coinvolto nelle dipendenze, non è direttamente collegato al consumo seriale di notizie. La verità è che, più che una dipendenza chimica, la nostra è una risposta emotiva profonda allo stato di incertezza e allarme costante.
Quando leggere diventa “doomscrolling”
Alla base dello stress informativo c’è un comportamento sempre più diffuso: il doomscrolling. Si tratta dell’abitudine a leggere compulsivamente notizie negative, anche quando provocano ansia o tristezza. Un circolo vizioso che può alimentare disturbi emotivi e fisici. Gli effetti più comuni sono:
- Livelli elevati di ansia e stress cronico
- Sbalzi dell’umore e senso di impotenza
- Insonnia e difficoltà di addormentamento
- Diminuzione della concentrazione e aumento dell’irritabilità
- Percezione distorta della realtà, dominata da scenari catastrofici
Il doomscrolling si amplifica ancora di più nei momenti di fragilità collettiva, come lo scoppio di una guerra: la nostra mente cerca risposte, ma trova solo nuove fonti di preoccupazione.
Il ruolo silenzioso – ma potente – dei social media
I social network non sono semplici strumenti d’informazione: sono amplificatori emotivi. Gli algoritmi che regolano i contenuti premiano l’engagement, e le notizie che più attirano clic sono spesso quelle che provocano ansia, paura e indignazione. Uno scenario perfetto per innescare una spirale di negatività difficile da interrompere.
L’effetto combinato di contenuti virali, immagini forti e commenti carichi di emozioni genera un’esperienza ipercoinvolgente, che intensifica lo stress psicologico e rende ancora più complicato prendere le distanze dalle notizie. È qui che prende forma un vero sovraccarico emotivo.
Come proteggersi: strategie per un’informazione più sana
Restare informati sì, ma con consapevolezza. Ecco alcune strategie utili per gestire il flusso di notizie senza lasciarsene travolgere:
- Definisci dei momenti precisi per informarti: scegli uno o due momenti al giorno per consultare le notizie, evitando le ore serali. Così eviti di appesantire la mente prima di dormire.
- Filtra le fonti che segui: affidati solo a media autorevoli, evitando i contenuti sensazionalistici o non verificati. Più qualità, meno quantità.
- Disconnetti consapevolmente: programmi di digital detox, anche brevi, fanno bene al benessere mentale. Una passeggiata o un’attività offline spesso aiutano più di quanto si creda.
In più, condividere emozioni e riflessioni con persone di fiducia può ridurre il senso di isolamento e riportare equilibrio nella percezione degli eventi.
Quando anche l’empatia si esaurisce
Un fenomeno poco noto ma sempre più frequente è la “compassion fatigue”, l’esaurimento dell’empatia. Succede quando si è talmente esposti a storie di dolore da non riuscire più a sentirle. Questo stato, inizialmente associato al personale medico o ai soccorritori, oggi colpisce anche le persone comuni continuamente bombardate da immagini e notizie di guerra. Ci si sente emotivamente svuotati, insensibili, quasi distaccati. Un segnale importante che è tempo di prendersi una pausa.
Dall’ansia all’azione: usare l’informazione in modo costruttivo
Sentirsi impotenti di fronte a una crisi globale è naturale, ma gli esperti ricordano che possiamo incanalare l’ansia in modo attivo e positivo. Ecco alcune modalità efficaci:
- Prendere parte a raccolte fondi o iniziative solidali
- Parlare delle proprie emozioni all’interno di una comunità
- Contribuire, nel proprio piccolo, a sostenere chi è colpito dal conflitto
- Coltivare la consapevolezza attraverso respirazione, meditazione o tecniche di rilassamento
Non possiamo controllare le notizie, ma possiamo scegliere come rapportarci a esse. Saper dosare l’informazione, limitare l’esposizione ai contenuti più disturbanti e cercare il supporto di relazioni significative sono gesti semplici che possono cambiare il nostro rapporto con l’attualità.
Informarsi senza perdersi: un nuovo equilibrio
Nel mondo iperconnesso di oggi, essere sempre aggiornati sembra una necessità. Ma l’infodemia emotiva può avere effetti reali sulla nostra salute mentale. La chiave non è spegnere tutto, ma imparare a distinguere, a selezionare e soprattutto a sentire quando fermarsi. Prendersi cura del proprio benessere emotivo è, in fondo, una forma di consapevolezza e anche un atto di resistenza gentile di fronte al rumore costante del mondo.
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